Giovanni Iannelli: per non dimenticare

Sono passati ormai otto mesi dal tragico incidente che ha portato via il povero Giovanni Iannelli, ma nessuno vuole o può dimenticare la dolorosa volata che il giovane corridore pratese non ha potuto concludere. Il tutto è avvenuto in una gara dilettantistica organizzata da una società affiliata alla Federazione Ciclistica Italiana. L’incidente è avvenuto nella bassa piemontese, in un assolato pomeriggio dei primi di ottobre. Tanti mesi che non hanno cancellato il ricordo di un ciclista serio, trasparente, pulito, impegnato anche negli studi universitari di economia, oltre che nella sua carriera ciclistica iniziata all’età di sei anni. Giovanni nel corso di questa sua carriera ciclistica aveva vestito anche la Maglia Azzurra alla Parigi-Roubaix Juniores. Una bella immagine per il movimento ciclistico giovanile italiano. Tanti mesi che non possono far dimenticare, oltre al ricordo della persona e dei suoi familiari, oltre all’umano sentimento di pietà e commozione, anche il pensiero relativo alla dinamica del sinistro.

Una dinamica che deve essere chiarita

Una dinamica ancora al vaglio delle Autorità inquirenti. Non solo quelle eminentemente di giustizia sportiva, che già qualche pronunciamento l’hanno emesso. Nel trascorso marzo la Corte Sportiva di Appello della FCI, in un proprio provvedimento, con esclusivo rifertiment alla omologazione della gara, ha rilevato delle criticità nella transennatura ed osservato incidentalmente la pericolosità della zona di arrivo. In particolare dovremo attendere anche quelle della giustizia penale. Perché un fascicolo risulta aperto presso la competente Procura della Repubblica di Alessandria. Questo per far luce sulla vicenda, per acclarare come effettivamente si siano svolti i fatti, cosa è stato fatto – o eventualmente non fatto –  per impedire l’evento.

I troppi se ancora presenti

Un compito duro, doloroso per tutti, ma che fa parte dei doveri costituzionali della magistratura e, particolarmente, per quanto conta in questa prima fase, della magistratura inquirente. Bisogna certo partire dal rispetto dei principi codicistici di segretezza della fase delle indagini preliminari in corso. Queste ovviamente non consentono una seria ed oggettivamente completa analisi o giudizio sull’accaduto. Bisogna certo fare i conti con la ferma convinzione che solo i Giudici hanno l’onore e soprattutto l’onere di fornire una verità processuale. Per poi addivenire alla ricostruzione giudiziaria del caso. Ad esempio questo verrà fatto stabilendo, fra tutte le circostanze dirimenti della vicenda, e chissà quante altre al vaglio del Pubblico Ministero ma sconosciute a tutti gli osservatori esterni, alcuni aspetti essenziali come;

  • se quel giorno furono adottate tutte le oggettive ed esigibili misure di sicurezza;
  • capire se le transenne erano correttamente posizionate o meno;
  • se il punto del sinistro dovesse essere altrimenti protetto;
  • comprendere se nulla poteva, ragionevolmente e maggiormente, essere demandato agli organizzatori ed alle autorità;
  • se, in sintesi, il povero Giovanni sia stato vittima di un destino avverso, per effetto di un evento che certo fa purtoppo parte del ciclismo, come di qualsiasi altra attività umana. O se invece il fatto che l’ha visto tristemente coinvolto potesse essere evitato;
  • insomma se potevano essere adottate le giuste e casomai giuridicamente obbligatorie misure di sicurezza per evitare un evento in ipotesi eventualmente valutato come prevedibile ed evitabile.

Senza accesso, in questa seconda ipotesi, a facili derubricazioni e richiami alla mera fatalità, con un’epressione assai usata, talvolta abusata.

Una scomparsa che deve servire da insegnamento

Ed indipendentemente dalle conclusioni. Le quali sono appannaggio esclusivo dei Giudici, nel contraddittorio con tutte le parti che la Magistratura riterrà eventualmente coinvolgibili. Per certo tuttavia alcune considerazioni possono comunque essere avanzate. Questo è importante anche solo per permettere che la scomparsa di Giovanni serva da ricordo, da insegnamento, da monito. Indipendentemente ed a prescindere dalle future e doverose determinazioni della Magistratura. Qualsiasi esse saranno.

Intanto, parliamo del tema della sicurezza. Bisogna partire dal presupposto che il ciclismo è certo uno sport pericoloso. Questo vale per tutti, amatori e non, ma soprattutto per coloro i quali svolgono la pratica sportiva in condizioni agonistiche o professionali. Ma non si può, indipendentemente dal caso-Iannelli, ridurre superficialmente ogni episodio luttuoso che ciclicamente annerisce le cronache sportive ciclistiche, a fatto da annotare ed addebitare ad un destino avverso. Non si può accettare.

Vero, il destino fa parte del gioco, ma non può essere sempre ritenuto responsabile. Bisogna accogliere la necessità che le corse, a tutti i livelli, garantiscano le maggiori sicurezze umanamente esigibili e possibili. Che scongiurino tutti i margini di rischio che siano umanamente prevenibili ed evitabili. I dispositivi di sicurezza costano, ma nessuna coppa, trofeo, podio, da quello di una gara giovanile di provincia a quello prestigioso dei campi Elisi in una domenica di fine luglio di ogni anno,  può valere anche solo il rischio di una vita umana messa a repentaglio.

Scelta dei percorsi e organizzazione

Per non parlare della maniacale attenzione alla scelta dei percorsi. Forse non dappertutto è ovviamente raggiungibile lo standard qualitativo e di tutela dei corridori che può essere garantito in una corsa professionistica. Come non ricordare gli alpini a tutela della strada e dei corridori che talvolta al Giro si vedono. Per esempio quando l’arrivo è fissato in vetta allo Zoncolan.

Tuttavia ogni valido organizzatore non può prescindere da un giudizio prognostico sulle corse. Quando una gara ragionevolmente può terminarsi con una volata, occorre valutare dove verrà posto il traguardo. Garantendo un finale possibilmente ampio, senza ostacoli di arredo urbano, ben visibile. Se il termine è alla fine di una discesa, attenzionare particolarmente proprio quella discesa. Visto che questa verosimilmente sarà percorsa “a tutta”. Se il traguardo è in salita, tutelare i corridori, principalmente dagli esuberi di qualche tifoso. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Non ci si può limitare a tracciare una linea che unisca il punto di partenza a quello di arrivo di una corsa. Affidandosi per il resto alla buona stella.

Serve una diversa cultura dello sport

Costruendo una cultura della sicurezza e del rispetto, che parte non solo dalla adozione delle protezioni materiali, ma che deve riguardare anche la componente umana. Per esempio il motociclista al seguito della gara, il tifoso che sta a bordo strada e, in definitiva, tutte le persone che, in qualità di utenti, condividono la strada con ciclisti ed appassionati.

In tempi di bonus-biclicletta, bisogna paritre dal presupposto che la cultura green, le piste cilcabili, l’econosostenibilità, non sono categorie che si inoculano nella testa delle persone con un incentivo economico. Queste si devono formare con un lavoro di educazione civica che deve partire dalle più tenera età. Ed in questo, forse, il nostro Paese è ancora indietro rispetto ad altri paesi, come Belgio o Olanda, dove la cultura ciclistica ed il rispetto dei corridori per strada, è certo superiore.

Solo con un ragionamento a trecentosessanta gradi, che spinga verso una riflessione che ponga la sicurezza al vertice di ogni obiettivo di corsa, la vita del povero Giovanni sarà servita da insegnamento, e il giovane pratese vivrà nelle menti e nei cuori di tutti gli operatori del mondo delle due ruote, dagli organizzatori in giù.

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Mario Delitala

Avvocato di professione, ma con una profonda passione per il ciclismo, praticato e guardato. Nel poco tempo libero a disposizione si allena, da solo ed in compagnia, studiando sempre nuovi percorsi da appassionato cacciatore di grandi salite, da percorrere rigorosamente al proprio lento passo, con la sola soddisfazione di arrivare in cima. Fra i suoi “scalpi” più importanti alcune mitiche salite della storia del ciclismo, come il Col de Vars ed il Col d’Allos nelle Alpi francesi o il Colle della Maddalena, nelle Alpi italiane. Realizza uno dei suoi sogni, quello di scrivere di ciclismo, col gusto di provocare discussioni e dibattiti, in linea con le proprie abitudini professionali.

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