L’ultima volata di Giovanni Iannelli, una tragedia che poteva essere evitata
Il ciclismo è uno sport fatto di gesta eroiche, di umanità, di debolezze e di rapporti umani. A volte però il ciclismo, così come la vita, è costretto a scrivere pagine che non vorrebbe mai veder pubblicate. Tra queste troviamo le tragiche morti di tanti corridori, più o meno noti, che perdono la vita inseguendo i propri sogni o semplicemente praticando con passione il Principe degli sport.
Eppure troppo spesso queste morti potrebbero e dovrebbero essere evitate. Vi sono infatti le tragiche fatalità, quelle frutte di sfortune inenarrabili o semplicemente dell’essere nel momento sbagliato nel posto sbagliato. Poi esistono le negligenze che sono gravi e devono essere accertate, per evitare che possano ripetersi ancora. Una di queste è quanto accaduto a Giovanni Iannelli, ciclista dilettante che lo scorso ottobre ha perso la vita a soli 22 anni durante l’87° Circuito Molinese a Molino dei Torti, organizzato dal Gruppo Sportivo della Bassa Valle Scrivia, società affiliata F.C.I.
Una tragedia che doveva essere evitato
Chi conosce Giovanni assicura che si tratta di un ragazzo solare e d’altri tempi, soprattutto per la sua correttezza e per il suo modo onesto di vedere lo sport.
“Fin dove arrivo con le mie gambe mi va bene“, diceva Giovanni a suo babbo. Segno evidente di una correttezza che non voleva mai trascendere nelle schifezze del doping e della scorrettezza, oggi troppo frequenti.
Il fattore più grave di questa storia straziante è che ci sono delle regole che sono state infrante, come spiega babbo Carlo Iannelli. “Nel regolamento della F.C.I sono previsti almeno 100 mt di transenne prima e 50 mt dopo la linea di arrivo. Almeno significa che in caso la strada si presenti pericolosa, così come riconoscono gli stessi organizzatori, è doveroso prendere delle cautele di sicurezza maggiori. Invece in quella circostanza, non arrivavano a 40 i metri di transenne prima del traguardo”.
Non è difficile capire quindi che qualcosa non è andato come il buon senso e l’amore per chi mette anima e corpo in questo sport imporrebbero.”Questa è una vergogna nazionale e chiedo giustizia per Giovanni“, queste le parole dense di dolore del babbo. Chi perde il coniuge viene chiamato vedovo, chi perde un genitore orfano. Non è un caso che non esista una parola per descrivere la perdita di un figlio, semplicemente è qualcosa di straziante che non dovrebbe accadere, tanto meno con queste modalità.
La questione della sicurezza nelle gare ciclistiche
Il papa di Giovanni racconta poi che sul percorso erano presenti “decine di pali e altri ostacoli senza la benché minima protezione a pochi metri dalla linea d’arrivo. A parte le transenne, su quello spigolo tagliente di mattoni, non c’era un materasso, non c’era una balla di paglia, non c’era un po’ di gomma piuma, non c’era nessuna cautela”. Niente che avrebbe potuto evitare una morte inutile e straziante, un niente che denota l’attenzione che viene data alla vita umana e a questi ragazzi fenomenali per l’impegno che mettono in questo sport.
Giovanni a poco più di 100 mt dalla linea di arrivo ha sbandato verso sinistra, probabilmente a causa di un contatto. Urtando con il pedale ed il piede sinistro la prima colonna, colpisce poi tragicamente con la testa la seconda colonna. Uno schianto che distrugge il casco e la sua vita, insieme a quella della sua famiglia e dei suoi tanti amici.
“Le transenne del percorso erano inferiori alla metà del minimo previsto dai regolamenti federali“, una realtà impossibile da accettare e da comprendere. Oggi Carlo Iannelli porta avanti una battaglia che merita il sostegno di tutti:
“Sono stati aperti tre fascicoli d’indagine ed altrettante procure stanno silenziosamente lavorando. Quanto è accaduto però deve restare sotto i riflettori. Proseguo questa battaglia per Giovanni e per tutti quei ragazzi che hanno perso ingiustamente la vita in bicicletta, per tutti quei corridori, di oggi e di domani, che devono essere tutelati.”
“Non sono io che vado piano, sono gli altri che vanno troppo forte; Babbo quando si arriva nei finali di corsa, io ho le gambe in croce e gli altri danno gas; Babbo…io in questo ciclismo non mi ci riconosco più”. Parole esemplari, degne di essere ascoltate e sottolineate.
Parole che ora caratterizzano una battaglia che è di tutti, per una società che abbia considerazione degli sportivi. Dei Ciclisti sia che siano in gara, sia che siano in allenamento o semplicemente di passaggio. La vita è sacra e come tale deve essere rispettata, ogni organizzatore di gare cerchi di tenerlo sempre in mente. Lo faccia anche nel nome e per conto di Giovanni Iannelli.
Trovo ingiusto questo silenzio.
Un padre lotta per la giustizia .
Un dolore inimmaginabile.
Questa morte poteva essere evitata. Senza dubbi.
Carlo, ha rilasciato un’intervista al Podcast A Ruota Libera, un po’ di tempo fa e ci racconta com’è andata la triste vicenda. Chi desidera ascoltarla ?
https://www.luigivergari.it/aruotalibera/giovanni-iannelli-uno-di-noi/
Questo è un articolo che rende giustizia a Giovanni. Un abbraccio forte a tutta la famiglia Iannelli.