Il gusto della vittoria! Pogacar, Pogacar e ancora Pogacar! – Roglic, Roglic e ancora Roglic!

No, non ci siamo sbagliati, la sintesi delle due corse a tappe, la Parigi-Nizza e la Tirreno-Adriatico hanno seguito lo stesso copione, con 2 corridori protagonisti e dominatori in tutto, tappe e classifica finale. Ah sì, piccolo dettaglio entrambi sloveni, un paese con poco più di 2 milioni di abitanti.

Lo svolgimento delle 2 corse è stato caratterizzato dal “dominio” di un solo corridore, in entrambe le circostanze vincitore di 3 tappe oltre che della classifica finale. La domanda a questo punto sorge spontanea, troppo forti i 2 sloveni o troppo deboli gli altri, e di rimando, provocatoriamente, non gli bastava vincere la CG dovevano vincere tutte le tappe?

Pogacar inarrestabile

Che Tadej avesse un conto in sospeso con Vingegaard era risaputo fin dallo scorso anno, ma che volesse dominare, sportivamente, tutte le corse ha un po’ sorpreso. La corsa era già archiviata dopo le prime 5 tappe e Pogacar aveva già dato sul campo segnali importanti nei confronti del rivale danese vincendo e stravincendo in salita. Solo Gaudu era parso in condizione di poter restare, almeno per un po’ a ruota dello sloveno, almeno fino a quando questi non decideva di piazzare lo sprint vincente e allora non ce n’era per nessuno.

Nell’ultima tappa però il piccolo principe è andato oltre. Non ha solo voluto vincere ma ha voluto stravincere, non si è limitato a controllare la corsa gestendo il suo vantaggio ma ha voluto dare prova a sé stesso e agli altri di essere decisamente il più forte. Un pizzico di arroganza o di superbia o solo il gusto di provare a spingersi oltre i propri limiti, testare la sua forza, le sue capacità e la sua condizione in previsione delle classiche.

Difficile da poter definire ma è certo che siamo passati da un ciclismo dove i distacchi si conteggiavano al secondo ben accorti a non eccedere in sforzi o attacchi a un ciclismo di puro istinto di pura foga agonistica dove la vittoria non appaga, anzi aumenta solo la fame e il desiderio di centrarne un’altra. E’ finita l’epoca cavalleresca di a te la tappa a me la maglia? In parte sì e in parte no come sempre. Da una parte le vittorie costruite da Pogacar sono quasi sempre splendidi assoli, preceduti sì da un gran lavoro di squadra, ma il primo violino quando sale in scena sbaraglia tutto.

Vederlo scattare a attaccare in salita e come se annebbiasse le nostre menti e tutto ciò che c’era prima di colpo non esiste più, lo abbiamo completamente rimosso e dimenticato. Lui non cerca aiuto perché quando è in questa condizione nessuno può dargliene e allora il palcoscenico è tutto per lui e l’istinto del cannibale si placa solo dopo aver addentato la sua preda, ma la sua fame si sazia solo per il tempo necessario che separa una corsa dall’altra. La consapevolezza di Tadej di poter competere in quasi tutte le corse lo pone nella condizione di voler e dover provare sempre a vincere senza fare conti o calcoli perché la sfida più dura è quella che lui fa con sé stesso.

Dall’altra parte un ciclismo dove i punti UCI hanno un peso specifico importante porta a cambiare anche un po’ il modo di correre da parte delle diverse squadre, viene un po’ meno l’adagio per vincere bisogna rischiare di perdere, allora meglio piuttosto che vincere meglio piazzarsi e in alcuni casi le strategie delle ammiraglie rischiano di essere un po’ troppo conservative.

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Sì sono libero, la Tirreno-Adriatico va bene vengo

Non deve essere proprio andata così ma neanche troppo diversamente. Roglic richiamato all’ultimo momento per correre la Tirreno con la Jumbo l’ha vinta anzi stravinta portando a casa anche 3 tappe. Di certo il buon Primoz non era in panciolle a casa e stava già seguendo la sua preparazione così come è probabile che non stesse facendo lavori specifici per la Tirreno. Al giorno d’oggi comunque allenamenti e preparazioni fanno sì che questi atleti siano sempre in grado di mantenere la loro condizione e se a questo aggiungete il carattere e su questo Roglic ne ha da vendere il gioco è fatto. Poi ci sono gli altri. Troppo deboli, arrendevoli o disorganizzati?

Ovvio che se in squadra hai Van Aert, Benoot, Kelderman etc etc le cose sono un po’ più semplici ma dall’altra parte anche quando ha dato segni di qualche possibile cedimento Roglic non è stato attaccato fino in fondo e non sapremo mai se perché non ne avessero abbastanza gli altri o se perché avessero troppa paura di perdere. Certo è che in tutte le vittorie Primoz è stato portato in carrozza all’ultimo km e a quel punto per lui il gioco è fatto. La domanda di nuovo sorge, ha fatto bene a vincere tutte le tappe? Poteva cavallerescamente lasciare qualcosa agli altri? Forse sì e forse no.

Probabilmente poteva risparmiare qualche scatto e lasciare un successo di tappa agli altri, ma a chi? Chi avrebbe veramente meritato più di lui di vincere? Chi si era esposto oltre e più degli altri per meritare un successo? Unico ad attaccare e a farlo controvento era stato Caruso, ma anche nella circostanza specifica il suo attacco non sembrava studiato per vincere quanto più per aprire la corsa in favore di Landa. Ma nessuno si è veramente esposto.

Infine guardiamo la corsa con gli occhi di Roglic. Tour perso alla penultima tappa, Parigi Nizza persa all’ultima tappa, Vuelta messa in pericolo nei giorni finali. Un corridore che ha senz’altro tante ferite ancora non rimarginate in cui il gusto amaro della sconfitta è ancora vivido non può che provare a cancellarlo con nuove vittorie. Di qui la sua voglia di vincere e provare sempre a farlo appena ne ha l’occasione per cancellare dal suo nome l’onta di perdente con onore.

Cavalleria o agonismo

Torniamo alla domanda iniziale, meglio la cavalleria o meglio la competizione sempre accesa anche col rischio di essere un po’ monotona. La risposta non è ovviamente né semplice né scontata soprattutto perché va contestualizzata in ogni occasione. Stiamo vivendo un ciclismo diverso dove le performance spesso vengono già studiate prima al pc e poi sulla strada, dove i corridori rischiano di essere più simili a macchine riassunti in numeri da modulare e gestire durante la corsa.

Di fronte al rischio di gare chiuse, bloccate sia dai numeri che dalla paura di perdere punti UCI ed essere retrocessi ben venga l’istinto, la cattiveria, la foga agonistica, la voglia di vincere e di superare sé stessi e gli altri. Ben venga uno sport pulito e leale dove ci si confronta non solo con i Watt ma anche con la psicologia e la forza mentale unica a poter far differenza quando tutti sono omologati. Siamo persone e oltre i numeri viviamo di emozioni positive e negative, di tifo e di entusiasmi, di rabbia e di foga, e queste non puoi prevederle o calcolarle a tavolino ma è come sempre la strada a regalarle. Tanto come sempre il lunedì ci si ritrova sempre a discuterne e a parlarne.

Vincenzo Davide Catania

Vincenzo Davide Catania ha 35 anni e vive tra i ridenti colli di Bologna dove lavora come Chirurgo Pediatra presso l’Ospedale Sant’Orsola. Sposato con una donna meravigliosa che gli ha regalato 2 piccoli angeli, Giulia ed Emanuela. La passione per il ciclismo riemerge nei ricordi adolescenziali delle epiche imprese del Pirata, delle roboanti vittorie di Cipollini e Petacchi e delle imprese, nelle fredde terre del Nord, di Bartoli. Passista per natura e vocazione, nel poco tempo libero, spesso rubato al sonno alle prime luci dell’alba, coltiva la propria passione per la bici in una sfida costante con se stesso nella scoperta di nuovi e stimolanti percorsi che lo riportino ad un contatto puro con la natura delle montagne e del bosco.

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