Tijl De Decker: rassegnazione, rabbia e frustrazione

Leggo con dispiacere, tristezza, sconforto, dell’ennesimo lutto, l’ennesima vittima della strada nel nostro bellissimo mondo del ciclismo.

Non ce l’ha fatta il povero Tijl De Decker, mortalmente colpito in allenamento. Non in gara, come l’indimenticabile Gino Mader, ma sempre in sella ad una bici, sempre nella coltivazione di un sogno professionale, di una vita da ciclista. Ennesimo lutto, insopportabile. Condoglianze ai familiari.

Indipendentemente dalla esatta determinazione della dinamica del sinistro, vengo assalito da un senso di rassegnazione, di ineluttabilità, di un destino infame. Di fronte al quale sembra non esserci fine, sembra non esserci soluzione.

Anche considerando l’incidente in cui è stato coinvolto l’inglese Gloag della Jumbo Visma, anche lui colpito da un’auto durante un allenamento e fortunatamente salvatosi, aldilà di una brutta botta al ginocchio che ha posto prematuramente fine alla sua stagione.

Dobbiamo dunque rassegnarci? Dobbiamo solo prendere atto di una realtà immutabile, di una maleducazione stradale crescente, di una radicale inutilità di tutte le pseudosoluzioni proposte, tipo distanza di sorpasso minima, o altre amenità simili? Dobbiamo prendere atto della presenza di un problema sostanzialmente privo di soluzione, dove l’unica cosa da fare è sperare di non essere i prossimi della lista?

A che servono le regole sulla distanza del metro e mezzo se tanto poi il problema non è l’educazione dei più ma la maleducazione dei pochi? Dove il singolo maledetto automobilista fa più notizia, con le sue malefatte, rispetto alla garbata conduzione stradale della maggioranza dei nostri consociati? Tanto, fra sette miliardi di persone ci sarà sempre il criminale di turno.

Sono assalito da un senso di impotenza, in cui quale che sia la regola, non c’è modo di eludere il problema, non c’è modo di raggiungere la soluzione. Quella sognata, quella auspicata: mai più ciclisti uccisi o lesionati in strada.

Ed allora, se non si può ottenere il rispetto da tutti, forse si potrebbe perlomeno ottenere il timore di tutti.

Dovrebbero essere introdotte nuove fattispecie: chi ammazza un ciclista in strada, o gli arreca lesioni gravi o gravissime, peggio se neppure presta il successivo soccorso, dovrebbe poter essere condannato a pene severissime, che implichino un passaggio carcerario, senza deflazioni, senza vie di fuga alternative. Ma, soprattutto, dovrebbe subire una sorta di ostracizzazione stradale: patente ritirata, non per pochi giorni o settimane, ma per anni. Tanti.

La sanzione (o le sanzioni) dovrebbero essere inasprite a tal punto da generare un reale timore negli utenti motorizzati della strada.

Se tanto un ciclista su strada potrebbe non essere rispettato da tutti, che almeno sia temuto da tutti. Appena un “motorizzato” ci dovesse vedere, dovrebbe essere assalito da un senso di paura, di timore, dalla voglia di volersi tenere il più possibile alla larga dal ciclista di turno. Come dalla peste bubbonica o dal più pericoloso dei virus. Perchè quel conducente dovrebbe sapere che, avvicinandosi, e rischiando di toccarci, nel nostro rispetto delle regole del Codice della strada, sia chiaro, potrebbe incorrere nella possibilità di arrecarci un danno e di vedersi sottratta per anni la patente di guida (ed anche un bel passaggio nella più vicina casa circondariale).

Se la strategia del rispetto del ciclista e della educazione stradale eteroimposti non serve, o non serve completamente, forse produrrebbe migliori effetti la strategia del timore del ciclista, generalizzato, diffuso, anche dai più cafoni della strada.

Tesi estrema? Forse si, forse no.

Dal punto di vista giuridico, un severissimo inasprimento delle sanzioni potrebbe sollevare qualche dubbio di costituzionalità fra i più ortodossi del mondo del diritto (sarebbero forse scalfiti, fra gli altri, il principio della proporzionalità della sanzione, dell’articolo 3 della Costituzione?).

Forse si, ma questo non è il tempo delle pelose discussioni fra accademici. E’ il tempo delle soluzioni drastiche.

E’ il tempo del perseguimento di una sana educazione stradale, anche nelle scuole, partendo dai più giovani. E’ il tempo di una sana ripresa di una materia forse troppo dimenticata, l’educazione civica. Ma è, deve essere, anche il tempo della paura.

Di una diversificazione “del portafoglio”, come nelle più abili strategie di investimento.

Questo non vuole essere “solo un articolo”, questo vuole essere un atto di denuncia, una proposta di legge, un’idea che l’etere ed attraverso l’etere, atterri magari nel suo miglior punto di caduta: la Camera (od il Senato, fate voi) della Repubblica Italiana.

Il male è estremo e tale deve essere anche il rimedio. Non c’è scappatoia.

L’insopportabilità delle notizie come quella di Davide Rebellin o di Tijl De Decker (come dello sterminato elenco di deceduti in strada durante un’uscita in bicicletta) è tale da richiedere un approccio calibrato, mirato ma parimenti severo. No soluzioni di pancia ma soluzioni severe. Questo è quello che chiedo.

Ciò detto, auguri di pronta guarigione Thomas.

Ciò posto, soprattutto, riposa in pace Tijl, condoglianze ai Tuoi familiari ed ai Tuoi cari tutti.

Come per Davide, come per Gino, come per tutti, cercheremo di non dimenticarTi, ma di portarTi sempre nel nostro cuore, nei nostri ricordi.

Mario Delitala

Avvocato di professione, ma con una profonda passione per il ciclismo, praticato e guardato. Nel poco tempo libero a disposizione si allena, da solo ed in compagnia, studiando sempre nuovi percorsi da appassionato cacciatore di grandi salite, da percorrere rigorosamente al proprio lento passo, con la sola soddisfazione di arrivare in cima. Fra i suoi “scalpi” più importanti alcune mitiche salite della storia del ciclismo, come il Col de Vars ed il Col d’Allos nelle Alpi francesi o il Colle della Maddalena, nelle Alpi italiane. Realizza uno dei suoi sogni, quello di scrivere di ciclismo, col gusto di provocare discussioni e dibattiti, in linea con le proprie abitudini professionali.

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