I tanti volti belli e le emozioni del Tour de France 2020
Le grandi emozioni del Tour 2020
Si conclude, come di consueto con la passerella finale sui Campi Elisi, un’edizione storica del Tour 2020. Un Tour che ci ha restituito dopo la grave pandemia, la possibilità di poter assistere nuovamente ad un grande evento sportivo, cercando di recuperare i pezzi di una stagione anomala. Un Tour fatto di passioni, quella delle persone che vi hanno lavorato e che lo hanno seguito, di emozioni, quelle pure regalate dai corridori che lo hanno corso e di tanto altro ancora.
La freccia irlandese giunge prima a Parigi.
Questa edizione ha segnato in modo indelebile la nostra memoria sportiva. Iniziamo dalla fine, dall’ultima tappa di Parigi che ha visto trionfare l’alfiere irlandese della Decuinick, Sam Bennet. La gara inizia con l’azione di Schachmannn (Bora-Hansgrohe), Van Avermaet (CCC) e Swift (Arkea-Samsic) che serve più per i fotografi ma che poco cambia nell’economia della gara. L’arrivo a Parigi sembra una cavalcata delle Valchirie. I corridori spronati dalle grida delle persone accorse si presentano in parata lungo le Champs Elyseee. Tra tutti i velocisti in corsa, Viviani (Cofidis, peccato deludente il suo Tour), Pedersen, Ewan e Sagan, è la locomotiva irlandese a sfrecciare per prima. Bennet arriva primo con quasi una bici dagli avversari, il verde gli dona davvero e la sua seconda vittoria in questa edizione 2020 legittima il suo successo nella classifica a punti. Dopo anni di egemonia Sagan cede il proprio scettro, generoso il suo Tour, pur non corso al massimo della condizione, ha sempre lavorato per confermarsi nella classifica a punti. Lo attendiamo adesso al Giro per la maglia ciclamino.
I colori di Pogacar, Giallo, Pois e Bianco
Un 2020 che ha visto la nascita di una nuova stella del ciclismo, il giovane sloveno Tadej Pogacar. Conquista il Tour 2020 da campione. In un’epoca recente, dove spesso abbiamo assistito a Tour corsi a tavolino con vittorie più di matematica che di gambe, è stato in grado di riportarci il senso puro di questo sport. Ha vinto con una squadra decimata dagli infortuni, ma lo ha fatto con cuore e coraggio.
Dall’incubo al Sogno
Sembrava tutto finito quando alla settima tappa Pogacar restava invischiato nel gruppo prendendo quasi 2 minuti dal connazionale Roglic. Proprio lì è iniziato il suo Tour, quando ha capito che non aveva più nulla da perdere ha lasciato ogni tatticismo e ha lasciato andare le gambe. Non ha mai pensato veramente di vincere ma ci ha provato ogni giorno, costruendo la sua strada pietra dopo pietra. Sono arrivati così gli scatti in salita e le prime roboanti vittorie sui Pirenei e su Le Gran Colombier. Tadej si presenta alla cronoscalata da secondo scomodo. In quella giornata che riscrive le pagine di un Tour ancora vittima di tatticismi e calcoli matematici.
Il colpo del genio
Il genio sbaraglia le carte, infrange le regole, trova un modo originale per giungere alla soluzione riscrivendo così la storia. La sua impresa ha l’odore dell’asfalto che si consuma sotto le sue vigorose pedalate, la leggerezza di chi si libra sui pedali spiccando il volo, la grinta di chi non pone limiti ai propri sogni. Così la libellula slovena, ammaliatrice e affascinante in volo quanto temibile con la sua preda ha sferrato il proprio colpo e non ha lasciato scampo al povero Roglic. Trionfa Tadej e fa all in, chiude da campione silente il proprio Tour con 3 vittorie di tappa, il primato nella classifica scalatori e di miglior giovane e soprattutto la vittoria finale. Diventa il più giovane vincitore del Tour dal 1904, superando anche lo sfortunato Bernal che aveva trionfato nel 2019.
Un Tour che continua a ringiovanire
In un ciclismo a volte vittima di se stesso, del timore della fatica, della tattica estrema ci sono voluti giovani rampanti a mostrare che si può ancora sognare infrangendo le regole. Questa edizione ha regalato oltre alla memorabile vittoria di Pogacar, le imprese di Hirschi, indomito condottiero, e la vittoria di Kamna. In generale ci ha colpito la voglia di questi giovani atleti di gettare il cuore oltre l’ostacolo di essere a volte incoscienti, ma con quella sfrontatezza dei vent’anni che ti porta a voler superare ogni limite.
Italiani, più ombre che luci
Il Tour degli italiani è stato purtroppo piuttosto anonimo. Nessuna vittoria di tappa e pochi acuti da parte dei nostri alfieri. Si salvano solamente Caruso ottimo nono in classifica generale dopo un Tour da “mediano” e Trentin, che ha provato, seppur molto timidamente, a contendere la maglia verde. Lavoro da mediano anche da mediano anche per Bettiol che speriamo di poter rivedere in prima linea al mondiale. Male Viviani, poco supportato dalla sua squadra e Aru ancora vittima di se stesso e delle sue fragilità. Sfortunato Formolo che aveva iniziato il Tour 2020 con grande veemenza, ma che si è dovuto arrendere a causa di una clavicola rotta.
Allez la France ma con calma
Oltre a noi italiani, anche i francesi resteranno parzialmente delusi da questa edizione del Tour. Agli acuti bellissimi di Alaphilippe, ancora maglia gialla per alcuni giorni, e Peters hanno fatto da contraltare le ennesime delusioni di Pinot e Bardet, fuori per infortuni dalla generale.
Pochi ma buoni, che diavoli gli australiani
Saranno certamente contenti in Australia, i loro alfieri, 2 in tutto il Tour, hanno lasciato il segno. Caleb Ewan centra 2 splendide vittorie in volata mentre Richie Porte si aggiudica il terzo gradino del podio grazie a un Tour solido e alla splendida prestazione nella cronoscalata.
La forza dell’amicizia
Negli occhi resta soprattutto la vittoria in tandem degli uomini della Ineos, Carapaz e Kwiatkowski. I due compagni vincono abbracciati la quartultima tappa del Tour restituendo a noi appassionati una bellissima immagine di sforzo e amicizia, una sinergia unica capace di imprese memorabili. La scena di quell’abbraccio è lo stesso che vorremo presto poter continuare a condividere tutti noi per ripartire sia nella vita che nello sport.
Crono si o Crono no?
L’epilogo di questo Tour 2020 fa riemergere uno dei dilemmi dei grandi Giri, Cronometro si o cronometro no. Le emozioni più grandi le abbiamo vissute proprio nella cronoscalata finale con la strepitosa impresa di Pogacar…Per anni sono state criticate poiché favorivano i “passistoni” a discapito degli scalatori che spesso pagano dazio nelle prove contro il tempo. Negli anni questo ha portato le squadre ad organizzarsi e a costruirsi in modo da poter scortare i propri capitani su tutte le vette. La conseguenza: livellamento delle differenze tra i corridori, pochi scatti e poche azioni individuali sulle tappe di montagna e grandi giri vinti per pochi secondi. Le gare sono spesso pianificate a tavolino come la preparazione dei ciclisti. Le prove contro il tempo certamente sono adesso l’unico modo per assistere a un confronto “diretto” tra corridori, 2 sfidanti l’uno contro l’altro ad armi pari. Allora perché non valorizzare di nuovo questa disciplina, anche con percorsi come quelli proposti al Tour (cronoscalata) magari 1 o 2 prove a metà e a fine giro, anche con una cronometro a squadra per ridare nuova linfa alle grandi corse a tappe.
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